Le torri di Madonna Bianca

“Il quartiere è caratterizzato dalla presenza di diversi palazzi, noti ai più come le “Torri di Trento”, ben distinguibili da tutte le zone della città poiché alte 13 piani,[4] costruiti negli anni Settanta e Ottanta. Due dei progettisti, l’architetto Marcello Armani e l’ingegner Luciano Perini, hanno partecipato alle festa dei 40 anni delle Torri nel 2015.[5] Il terzo progettista è l’architetto Efrem Ferrari.” (Wikipedia)

(Fotografie scattate con Pentax LX e Yashica T3; pellicola Ilford sviluppata DIY con procedimento Caffènol)

La partita

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Dietro il campanile, chiuso tra quattro muri che lo rendono quasi invisibile, circondato da condomini con i panni stesi alle finestre, si nasconde un campetto da calcio dove il tempo pare essersi fermato.

E’ un piccolo club cittadino, dove abbiamo deciso di mandare nostro figlio di sette anni perché venga iniziato alla nobile arte del calcio.

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Pianosa e la metafora del carcere applicata all’oggi

 

Per arrivare a Pianosa, l’isola-carcere, si parte dall’Elba, da Marina di Campo, con un battello di solito pieno di gente. Le visite sono obbligatoriamente da svolgere con le guide, mentre è permesso passeggiare liberamente tra le casette in rovina del paesello abbandonato e fare il bagno nelle acque cristalline che lambiscono la spiaggia vicina al porticciolo.

L’immagine del lungo, inquietante muro del carcere speciale voluto da Dalla Chiesa per rinchiudere i terroristi degli “anni di piombo” desta nel pellegrino acute riflessioni.

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Cinque consigli per aspiranti fotografi analogici

Per risparmiare e divertirsi, dall’acquisto allo sviluppo

La mia Bessa T con finder a torretta e obiettivo Minolta Rokkor 40mm

Chi l’ha detto che la fotografia analogica è complicata e costosa? Al contrario, scattare con vecchie macchine fotografiche su pellicola può essere molto divertente, istruttivo e dare risultati sorprendenti con un investimento iniziale moderato. Inoltre la fotografia analogica ci permette di organizzare (quasi) tutta la “filiera” in casa, dallo scatto allo sviluppo dei negativi alla stampa in analogico (per chi ha la camera oscura) o in digitale. Questo significa avere il controllo su tutto il processo creativo, dalla preparazione dello scatto allo sviluppo dei negativi. Perché la fotografia analogica è questo: immaginazione e controllo, previsione e creatività.

I consigli che seguono sono frutto della mia esperienza di fotografo (super) amatoriale, sono quindi opinabili, criticabili e soggettivi, ma forse possono aiutare chi vuole lanciarsi nella riscoperta della fotografia analogica a orientarsi in questo mondo temibile, dove i “professori” che sanno tutto di tutto hanno a disposizione uno strumento temibile, Internet, attraverso il quale dispensano il loro sapere spesso con modi poco coinvolgenti per il neofita, che si sente respinto dal tecnicismo e dal gergo specialistico.

E allora iniziamo.

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Il tempo della fotografia analogica

[Il testo del mio corsivo andato in onda questa mattina su Rete Due]

La fotografia analogica sta tornando di moda. Non che sia mai scomparsa dalla scena, ma alcune iniziative recenti mostrano un rinnovato interesse del mercato (c’è moda quando c’è mercato…) per questa nicchia di appassionati. Ed è proprio questo fatto, l’apparizione di capitali che investono su progetti innovativi nel campo analogico, che indica la presenza di un interessante bacino di consumatori potenziali.

Tra qualche giorno sarà di nuovo in vendita la pellicola P30 della Ferrania, storica azienda italiana nata esattamente 100 anni fa che aveva smesso la produzione nel 2011 a causa della concorrenza del digitale. Ormai da qualche anno, con l‘Impossible project le pellicole istantanee di tipo Polaroid sono tornare sul mercato, definendo un nuovo segmento di mercato di lusso (le pellicole sono piuttosto care…) rivolte ad artisti e professionisti dell’immagine mentre un’azienda italo-svizzera specializzata nella vendita di materiale analogico, la Ars Imago, ha appena lanciato su Kickstarter il progetto di una tank evoluta per lo sviluppo dei negativi 120 e 135.

Da anni ormai Lomography propone un ritorno all’amalogico ludico e disinibito, proponendo ai consumatori non solo pellicole particolari (per ottenere il tipico “effetto Lomography”) ma anche nuove macchine ispirate a modelli del passato, che spesso uniscono l’analogico al digitale.

Recentemente una startup che si chiama Mint ha messo sul mercato una copia della Rolleiflex che usa pellicole istantanee Fuji, mentre sempre su Kickstarter sono stati finanziati i progetti di un banco ottico “economico” e di un dorso digitale (basato su Raspberry Pi) che si adatta a tutte le fotocamere analogiche 35mm.

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Le mie giostre

“Le mie prime due giostre erano un tiro a razzi e una giostrina per bambini senza motore, che facevamo girare a mano, poi in un secondo momento con un mulo. […] Fino agli anni settanta questo lavoro dava delle soddisfazioni: c’era la disponibilità di buone piazze e dunque la possibilità di guadagnare bene. Poi anche se mancava il fascino del mondo del circo, questo era un lavoro che permetteva di girare, e questo per me era una cosa molto importante.” (da “Strada, patria Sinta”, di Gnugo De Bar)

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Artefatti – manifesto per una “zine” di sperimentazione fotografica – versione Beta

Questo manifesto è il risultato di una lunga riflessione. Si tratta di una “versione Beta”, dunque ancora suscettibile di cambiamenti in base alle riflessioni, critiche proposte di tutti coloro che sono interessati a sostenere il progetto di “Artefatti”. Per farlo potete scrivere a mattia.pelli[at]gmail.com.

L’idea

L’idea è quella di dare vita a una zine autoprodotta collettivamente di sperimentazione sulla fotografia e i suoi dintorni.

Al centro del progetto c’è la fotocopiatrice, strumento di distribuzione e diffusione analogico alla portata di tutti, strumento principe della “copy art” e del mondo delle fanzines.

L’approccio è quello del DIY, il “fai da te”, per restituire alla creazione fotografica il controllo sul processo di diffusione delle immagini e sottrarlo all’evanescente mondo del digitale.

Lo scopo è quello di ridare all’immagine la sua tangibilità fisica, ma nello stesso tempo di sottrarla alla perfezione iperrealistica che ne determina la morte, in una valanga di colori e pixel che la rendono inutile e superflua, incapace di raccontare.

Artefatti vuole giocare con il non visto, lasciare lo spazio dell’immagine aperto alla suggestione dell’imperfezione che si cela nella sostanza imprevedibile del toner e del getto d’inchiostro. Del bianco e nero, per necessità economica e per scelta.

La filosofia è quella delle zines che hanno raccontato – meglio di qualsiasi rivista “professionale” e patinata – l’avvento del movimento punk; le rivolte giovanili o l’arte contemporanea.

Artefatti non è una rivista per professionisti: è aperta a tutti coloro che vogliano esprimersi e sperimentare attraverso le immagini, di qualsiasi tipo esse siano.

Artefatti è una zine libera, aperta alla sperimentazione: ma non si può essere liberi senza essere antifascisti, antirazzisti e anti-sessisti.

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