La porta socchiusa – un documentario sull’emigrazione in Svizzera

 

Per molti anni mi sono concentrato nel mio lavoro di ricerca sull’emigrazione italiana in Svizzera, alla quale ho dedicato numerosi saggi e volumi.

Per la Fondazione Museo storico del Trentino ho dato vita a un progetto su questo tema che ha portato a un convegno internazionale i cui atti sono stati riuniti in un volume intitolato “Archivi migranti: tracce per la storia delle migrazioni italiane in Svizzera nel secondo dopoguerra” .

Il progetto prevedeva anche la produzione di sei brevi documentari dedicati alla emigrazione italiana e trentina a Winterthur, città svizzera poco distante da Zurigo e centro industriale di grande importanza. Il ciclo di documentari, andati in onda su History Lab, il canale TV del Museo storico del Trentino, si intitolava “La porta socchiusa”.

Per girare questo documentario mi sono armato di videocamera, di luci e microfoni e ho bussato alle porte di molti emigrati trentini, che con ospitalità mi hanno accolto raccontandomi le loro storie. Ho usato i loro filmati Super 8 e fotografie e filmati di archivio, così come immagini che ho girato a Winterthur. Ho curato il montaggio e le musiche. Ho riunito tutto come le tessere di un puzzle. Il puzzle non ancora completato del rapporto tra la Svizzera – il mio paese d’origine – e i migranti.

Le cinque puntate si possono vedere dal sito di History Lab.

1. PARTIR BISOGNA
La Svizzera è stata fino alla fine degli anni Cinquanta la principale meta migratoria per i trentini che andavano a cercare fortuna all’estero. In questa prima puntata si analizzano i motivi della partenza, non soltanto economici, di uomini e donne che affrontarono questo viaggio verso l’ignoto, attraverso la loro viva voce.

 

2. GLI ALTRI

E poi c’erano gli svizzeri: compagni di lavoro, nemici, amici, poi mogli, mariti, fidanzati. Un rapporto difficile quello con gli indigeni, che non sempre apprezzavano la vicinanza di queste lavoratrici e lavoratori venuti da lontano. I pregiudizi fiorivano e anche gli scontri: cinkali era il nomignolo offensivo più comune. Eppure si conviveva.

3. L’ORO IN BOCCA

La lingua del lavoro industriale in Svizzera era l’italiano, la cui eco si sente ancora tra gli edifici delle grandi industrie ora locali alla moda e appartamenti. Siamo a Winterthur, principale centro industriale svizzero, città della Sulzer di cui si evoca il fantasma attraverso interviste, immagini d’archivio e immagini di oggi.

4. PICCOLE ITALIE

C’è una città nella città a Winterthur: è la città dell’immigrazione italiana, in via di sparizione, che aveva i suoi luoghi di aggregazione, svago, preghiera, iniziativa politica. Un’ancora alla quale aggrapparsi per chi veniva proiettato per la prima volta in un mondo nuovo.

5. TELAI E LOCOMOTIVE

La Svizzera è anche il paese dei treni: in treno vi arrivavano gli immigrati che spesso quei treni finivano anche per costruirli. La Loki, azienda di Winterthur che produceva le locomotive per le ferrovie svizzere, ne accolse moltissimi. Tra loro molte donne, messe a lavorare sui carri ponte, per la loro bravura e delicatezza nelle manovre.